Nella flebile luce notturna, ai margini della scogliera su cui si increspavano incessantemente le onde impetuose del mare in tempesta, spiccava quella magra figura dalla lunga e folta chioma.
Quel vecchio pazzo meditabondo, seduto con un sorriso ebete e infantile sulla cima di quella roccia prominente e impervia in mezzo alle furie del cielo e del mare in burrasca, arrivato, forse, alla fine di una vita tanto intensa quanto bizzarra, era mio nonno.
Da bambini eravamo incantati dalle storie dei nostri antenati che ci raccontava, e a cui nessuno più credeva sotto l’influsso invadente dei tempi moderni e della fredda tecnologia che ci aveva reso “civili”, e il cui peso imponente aveva prepotentemente schiacciato e sotterrato la memoria del nostro passato ricco di tradizioni e conoscenze millenarie, trasformando la nostra isola in una favolosa e rilassante meta turistica per occidentali stressati e nevrotici.
Chi erano i miei antenati? Non devoti con lo sguardo penitente rivolto verso il cielo a pregare e a lodare qualche sorta di divinità misteriosa e manipolatrice, onnisciente e onnipotente. Piuttosto navigatori del pensiero, giocolieri della fantasia, architetti del sogno, studiosi della concezione immateriale del mondo che si narrava ogni notte sulle pagine di un vecchio libro stampato tra le stelle del firmamento.
Si disse che un giorno di molti anni fa, un giovane studioso esploratore la cui nave naufragò a largo della costa, grazie alle correnti favorevoli e ad un resto di legno che lo tenne a galla nel mare per diversi giorni, riuscì ad approdare sulla nostra isola. Lo trovarono sulla spiaggia in fin di vita, in stato di incoscienza. Lo curarono e rifocillarono. Lo straniero riuscì subito a farsi capire grazie alla facilità e alla rapidità con cui i nostri appresero la sua lingua. E non fu solo questo a stupirlo, ma anche le conoscenze scientifiche scaturite dalla interpretazione dei racconti fantasiosi che la mia gente soleva raccontarsi la sera cenando tutti insieme intorno al fuoco. Lo straniero intuì che in quelle fasi di contemplazione con lo sguardo rivolto al cielo alla ricerca di risposte e di domande, i miei antenati, senza rendersene conto, concepivano, formulavano e afferravano nozioni scientifiche, alcune troppo avanzate e azzardate per il mondo evoluto da cui proveniva.
In particolare una sera lo stupii il racconto di un bambino, che per fargli cortesia parlò con sorprendente naturalezza nella lingua straniera.
Il sole stava sempre fisso sopra nel cielo come una lanterna appesa al soffitto.
La gente era stufa, accecata, annoiata, abbronzata, assonnata, dissennata. Insomma, ne aveva piene le noci di cocco! Occorreva spostare quel sole insolente, ma era troppo in alto e poi scottava. Era più facile per la maggior parte, una chimera per i pochi scettici, sposare l’isola. Scelsero un ragazzino, forse un po’ tonto, tuttavia con la stoffa del navigatore a parere dei saggi, e gli dissero di portare l’isola verso l’ombra.
Il giovane si mise a meditare per diversi giorni. Dove trovare la grande ombra ristoratrice? Inizialmente pensò ad un albero molto grande, ma in mezzo al mare era faccenda alquanto ardua. In seguito gli venne un’idea ricordandosi delle comete che si vedevano in cielo certe volte quando ancora calava la notte. Si credeva che le comete fossero stelle in fuga da un sole avido di luce e disposto a tutti i costi a sottrarla agli altri corpi celesti costretti a celarsi nella notte. Così il giovane si arrampicò sulla cima più alta da cui poteva avere una migliore visione dell’orizzonte e, all’occorrenza, evitare eventuali ostacoli durante le manovre. Poi, non si sa bene come, una forza misteriosa spostò l’isola facendola accelerare, sempre di più, e ancora di più, tanto che essa tremò e si spaccò in due, mutilandosi di una metà che s’inabisso inesorabilmente nel mare con una parte dei suoi abitanti.
Lo scopo era stato raggiunto in quanto la velocità era tale che la luce solare non riusciva a raggiungerli, e finalmente tutti si poterono godere un po’ di frescura. Ma in seguito incominciarono ad accadere cose strane. Il fuoco ardeva senza luce. Le stelle mutarono da puntiformi a aghiformi. Ad un certo punto scomparvero il mare e il cielo, e gli isolani si ritrovarono sospesi in quella immensa vastità che è lo spazio profondo.
Dopo mesi di fantastica navigazione, sentirono nostalgia del mare e decisero di tornare verso il loro luogo d’origine. Ma il ritorno fu fatale poiché, per ironia della sorte, si scontrarono contro qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi li, l’altra metà dell’isola. Dopo essersi inabissata per breve tempo, ritornò su in superficie. Gli abitanti sopravissuti si poterono finalmente godere la notte, giacché il sole, da grande testardo, si era messo all’inseguimento dell’altra metà. Inevitabilmente erano invecchiati oppure morti in quanto per essi gli anni passarono, mentre per i fuggitivi erano trascorsi solo pochi mesi per finire tragicamente morti annegati in quel tremendo schianto a eccezione del navigatore che si salvò miracolosamente. Infatti, mentre giaceva sulla cima più alta intento a scrutare l’orizzonte, il ragazzo balzò su un albero della metà riemersa. A parte la brutta botta che lo intontì ulteriormente, il giovane ne uscì oltremodo incolume.
Successivamente, quel giovane che aveva ancora una gran voglia di navigare, chiese agli abitanti se poteva effettuare qualche manovra giusto per passare il tempo. Accettarono a condizione che gli spostamenti fossero stati lenti e contenuti, non volevano certo rischiare di fare la fine dei loro sfortunati conterranei.
E così anche per lui gli anni passarono.
Oggi alcuni anziani ritengono che quel tizio sia mio nonno, unico superstite di coloro che ebbero modo di viaggiare e di solcare terre e dimensioni oltre l’immaginabile.
Ritornando all’esploratore, costui si costruì una barca per far ritorno alla terra natia. Erano tutti dispiaciuti che se ne andasse, ma egli promise che sarebbe tornato presto con altra gente della sua terra, desideroso di condividere quella cultura così affascinante e singolare. Molti anni più tardi arrivarono i suoi amici che non dimenticarono di portare con se gru e sacchi di cemento. In breve costruirono il grande hotel sulla spiaggia con tanto di ombrelloni, sedie a sdraio e baracchino per i gelati e le bibite fresche.
A volte mio nonno spariva per lunghi periodi per rifugiarsi nel lato disabitato dell’isola in cui la vegetazione ricca e lussureggiante, tra le rocce scoscese, ne impedivano un facile accesso, e che terminava improvvisamente nella scogliera a strapiombo, segno evidente, come già detto, di una spaccatura in tempi remoti dell’isola di cui una metà sprofondò negli abissi oceanici.
Quella volta lo seguii di nascosto nel lungo e tortuoso tragitto con la sensazione in certi momenti che lui intuisse la mia presenza. Il viaggio durò senza sosta per tre lunghi e faticosi giorni finché arrivammo sulla costa.
Ero stremato e affamato. Mi sdraiai accanto ad un albero per riprendere fiato e, senza che me ne accorgessi, mi addormentai. Mi risvegliai in piena notte. Il tempo era cambiato. Il vento soffiava forte, e lontano si scorgeva un ammasso minaccioso di nuvole e lampi.
Di mio nonno nessuna traccia.
Incominciai a cercarlo lunga la costa a me sconosciuta, e capii perché i nostri antenati scelsero di stanziarsi sull’altro lato dell’isola che era decisamente più accogliente.
Grazie ad un lampo che illuminò per qualche istante tutto intorno, lo vidi seduto tranquillamente sulla cima più alta. Non avevo il coraggio di chiamarlo. Il vento mi buttava addosso la pioggia che ora scendeva a dirotto. Mi riparai sotto una pianta, mentre lui giaceva sorridente e con gli occhi chiusi indifferente alle intemperie.
Un fulmine colpii un albero poco distante da me. Spaventato, capii che forse non era il caso di starsene vicino a quella pianta, quindi decisi di andare incontro a mio nonno per portarlo via, ma non era più li. Dove diavolo si era cacciato, quel vecchio pazzo? Incominciai a pensare che quel folle incosciente fosse scivolato giù nell’oceano, o che un fulmine lo avesse incenerito all’instante. Ero in preda al panico. Mi alzai in piedi e incominciai a correre nella boscaglia per cercare aiuto. Nella foga scivolai su una foglia immersa nel fango e caddi per terra sbattendo la testa su un masso.
Rimasi esanime per tutta la notte. Fu il tepore di un fuoco acceso a svegliarmi, e il profumo di qualcosa di arrostito a ricordarmi che erano diversi giorni che non toccavo cibo. La tempesta era cessata e stava per albeggiare. Vidi mio nonno che arrostiva delle verdure. Lo guardai intento nelle faccende senza dire nulla. Si accorse che ero sveglio. Non disse nulla pure lui, si limitò solo a passarmi del cibo. Il silenzio durò alcuni minuti mentre io mi godevo il calore che mi ristorava in mezzo a quella boscaglia umida che iniziava a scaldarsi sotto i primi raggi del sole.
Poi mi accorsi che in quiete era l’intera boscaglia che pareva ancora addormentata. Non percepivo alcun rumore, nessun verso di uccello. Tutto era stranamente immobile, fermo come in un fotogramma. Il tempo sembrava essersi dimenticato di quel posto.
Fu il pensiero del tempo a farmi porre questa domanda che interruppe il nostro silenzio:
-Nonno, quanti anni hai?
Lui alzò lo sguardo verso di me, i suoi occhi erano tristi come quelli di chi deve annunciare un addio. Ma poi, improvvisamente, cambiò espressione, forse sollevato da qualche pensiero felice, e con il suo consueto sorriso di chi è in eterno stato di ebbrezza, rispose:
-Anni? Non ne è ho idea. Il tempo che passa l’ho sempre misurato in periodi più o meno lunghi.
-E tu in che periodo della tua vita ti trovi?
Il suo sguardo tornò serio per un instante.
-Credo di trovarmi prossimo alla morte. Generalmente il passaggio da un periodo ad un altro credo venga scandito da un evento ben preciso. In questo nuovo giorno accadrà qualcosa di importante.
Ora capivo quella tristezza.
-Perché? Che succederà oggi?
-Un evento particolare. Il passaggio del testimone. Tu sarai l’erede della mia conoscenza, il mio successore. Il navigatore dell’isola.
Lo guardai sconcertato. Nel villaggio era considerato un vecchio matto anche se tenuto in forte considerazione e rispetto. Ora stava delirando, e si sentiva in procinto di morire. Qualcuno sosteneva che avesse più di più di duecento anni. A vederlo non ne dimostrava più di ottanta e lo sguardo era sempre intenso e curioso come quello di un bambino, anche se a tratti malinconico.
-Non capisco di che parli?
-Perché mi hai seguito? Ti sei posto questa domanda?
-Non lo so. Ero curioso di sapere che facevi qui. Forse ho sbagliato. I miei saranno preoccupati. Mi rendo conto che tu ci credi veramente alle tue favole, e forse quando ero bambino ci credevo anche io. Ma adesso sono abbastanza grande, le cose sono cambiate, e ritengo sia ora di tornare entrambi al villaggio. Se non ti senti bene ti cureranno.
-Va bene. Capisco i tuoi dubbi. Ma prima ti chiedo solo un piccolo favore che non ti costerà nulla. Oggi il mare è calmo, il cielo e sereno e il sole splenderà come non mai. Sono tutti in attesa, ci scrutano, ci osservano con ansia.
Mi guardai attorno, e con un po’ di attenzione scorsi migliaia di piccoli occhi nell’ombra tra i rami che mi fissavano insistentemente. Trascinato dall’immaginazione mi vennero in mente gli psicopompi di certe storie pronti a raccogliere l’anima del vecchio. Anche sul suolo vidi che ero circondato da una moltitudine di creature, serpenti, lucertole, piccoli mammiferi, roditori, con lo sguardo fisso rivolto a me. Ma che diavolo vogliono da me? mi chiesi.
-Andiamo
Disse mio nonno distogliendomi dallo stupore.
-Dove?
-A fare una nuotata.
Finalmente lo sentii pronunciare qualcosa di sensato, pensai, e una rinfrescata era proprio quello che ci voleva. Ero sporco e sudicio di fango, e la testa mi scoppiava dopo la botta tremenda che avevo preso la notte scorsa.
Scendemmo dalla scogliera arrampicandoci sulle rocce. Arrivati alla riva, ci spogliammo e ci tuffammo nell’acqua calma e trasparente come se il giorno prima non ci fosse mai stata la tempesta.
Mi sentivo rigenerato e tutti quei discorsi strani scomparvero dalla mia mente. Ma mio nonno era di nuovo sparito.
Andai sottacqua. In quel punto il fondale era profondo e buio, impossibile intravedere qualcosa. Tuttavia notai una luce e sentivo una corrente marina calda che pareva dirigersi verso di essa. Ritornai in superficie per prendere fiato. Poi mi immersi di nuovo convinto che mio nonno fosse stato trascinato da quella strana corrente. Scesi in profondità lasciandomi trascinare anche io. Giunsi all’ingresso di una caverna sottomarina. La luce proveniva dal fondo della caverna. Entrai. All’interno sulle pareti potevo distinguere chiaramente dei disegni, delle figure che sembravano fossero state incise secoli fa, sicuramente dai miei antenati. Un’isola. Nel cielo l’alternarsi di soli e lune disposti in fila tra le stelle. Sulla cima dell’isola un uomo in piedi che guardava avanti impugnando una bandiera sventolante. L’isola che naviga nel fiume celeste come nei vecchi racconti. I giorni scanditi dal passaggio di nuovi soli e nuove stelle.
Ormai erano diversi minuti che ero immerso, e inspiegabilmente non sentivo la necessità di respirare. Se tutto ciò era un sogno, sembrava incredibilmente realistico. Prosegui oltre fino a giungere all’ingresso di una caverna molto più grande. La luce proveniva da un lago all’interno. Incredulo mi chiesi come si poteva distinguere la superficie di un lago sotto il mare. Sul fondo si scorgeva una superficie azzurra chiazzata da macchie bianche. Nuvole. C’era anche il Sole. Mi tuffai nel lago sottomarino e in realtà emersi. Emersi!
C’era aria da respirare. Inspirai profondamente come se il respiro, di fatto, mi fosse mancato, ed ebbi una sorta di reminescenza, un antico ricordo, la sensazione straordinaria di rinascere, come se il mare mi avesse partorito e buttato indifeso in quel nuovo mondo tutto da scoprire. Nuotai fino alla spiaggia. Guardai intorno e mi accorsi che ero nel mezzo di una vasta vallata. Ero uscito realmente da un lago, o dal mare, non sapevo neanche io da cosa. Raccolsi i pensieri e incominciai a ragionare. Sotto ho il mare, e più sotto ancora l’isola, capovolta. Dunque, sono sotto l’isola, attaccato al soffitto della sub-isola che a quanto pare sta sospesa sopra il cielo, o un cielo. Quindi la mia isola è sospesa tra due cieli. L’odore di quelle verdure arrostite dovevano avere sortito qualche effetto allucinatorio, fu l’unica conclusione razionale a cui arrivai .
Mentre mi perdevo nelle elucubrazioni, mi ero asciugato sotto quel sole “sub-isolano”.
Improvvisamente sentii una voce. Era mio nonno che mi chiamava dal lato opposto della riva. E’ ancora vivo, pensai rincuorato. Lo raggiunsi chiedendogli se stava bene.
“Certo, mai stato meglio.”
“Ma non stai per morire?”
“Beh, in un certo senso lo sono per quelli a cui stiamo sotto, ormai non torno più indietro”
“Ma che posto è questo?”
“Non saprei spiegartelo, siamo sotto l’isola, oltre le comuni apparenze. E’ inutile che ti spieghi. Facciamo un giro e capirai da solo”
Ci dirigemmo nell’entroterra, nudi come natura ci aveva fatti o forse svitati contro natura. Arrivammo su un vasto prato. In mezzo c’era un vecchio albero, una quercia secolare, e intorno un gruppo di persone, animali e strane creature che ballavano a ritmo di samba. Riconobbi degli uccelli che vidi una volta in una figura di un libro di scuola: fenicotteri rosa. C’era anche un ippopotamo. Non avevo mai visto una bestia di quella mole, a parte le balene. Ma le balene non ballano e, che sappia io, neanche gli ippopotami. Ridevano e ballavano come se fosse l’unica cosa che importasse loro.
“Ma chi sono quegli svitati?” chiesi a mio nonno.
“Sono dei rifugiati”
“E da cosa sono scappati”
“Dalla realtà, suppongo”
Scappati dalla realtà, disse. Mi trovavo veramente in un sogno incredibilmente vivido. E tanto valeva la pena di continuare.
“E ora cosa facciamo? Ci mettiamo a ballare con loro?”
“No, dobbiamo consultarci con il Maiale”
“Dimmi nonno, di che si tratta? Siamo un po’ come in “Alice del paese delle meraviglie”, tu nella parte nel Bianco Coniglio?”
“Può darsi. Guarda, è laggiù.”
Era un vecchio maiale dall’aria lasciva. Enorme, grasso, unto e madido di sudore. Si ergeva su cumulo di terra e fango con atteggiamento da gran santone.
“Salute, vecchio. Vedo che hai portato un amico. Scommetto che è il tuo successore.”
“Esattamente, e sarà così bravo da far muovere anche il vecchio continente”
“Questo è ancora da valutare, se riuscirà a far muovere di un solo centimetro questa isola di cui noi siamo i sub-abitanti, e già tanto. Mi sembra troppo scettico e un po’ limitato”
“Io non sono limitato, signor Maiale!” dissi sprezzante.
“Lo vedremo. Quante flessioni è in grado di fare? Quanto tempo riesce a trattenere il respiro? Sa contare fino all’infinito? Quanti pidocchi ha per la testa? Dieci pid-occhi vedono meglio di due occhi. Sa scapperottarsi infilandosi la lingua nel naso o leccarsi le sopracciglia? Spera nella vita vivendo? Stando tra due specchi quanti se è riuscito a contare? Per lui la candela vale il gioco? Sa camminare con le gambe degli altri? Sa… ”
“Basta così. Per adesso non è ancora in grado di fare nulla. E’ molto sveglio e istruito, anche se a volte troppo logico. Ma vedrai che sarà all’altezza. In fin dei conti è mio nipote. Allora, che ne pensi?”
Mi squadrò con aria sdegnata da cima a fondo, e infine quell’essere pronunciò la sua sentenza.
“Va bene. Ti credo. Tuttavia la sua mentalità mi pare un po’, come dire, troppo raziocinante, cubica”
“Cubica?” ripetei, pensando a cosa mi toccava ascoltare pure nei sogni.
“Si, cubica, monolitica, stitica, plastica, scarna…”
“Va bene, ho capito”, per fortuna mio nonno lo interruppe, mi stavano incominciando a saltare i nervi.
“Cosa mi consigli di fare?”
“Direi che qualche botta correttiva sulla testa dovrebbe sistemarlo al punto giusto.”
“Ma siamo impazziti” urlai costernato, questo era troppo!
“Se lo scordi, signor Maiale. Dalle mie parti sono i maiali che prendono le botte in testa e poi vengono serviti ben cotti a tavola. Anche se lei è così ripugnante che non vedo chi affonderebbe la forchetta nelle sue carni putride e disgustose!”
Con uno sguardo spaventato e irritato il maiale incominciò ad inveire e urlare “Portalo via! Andatevene, mascalzoni!”. E poi scoprii che anche i maiali piangono e hanno una loro dignità. Fino ad un certo punto, perché poi si pisciò addosso e incomincio a rotolarsi nel fango.
Ci allontanammo da quel animale bizzarro che si credeva una sorta di profeta o guida spirituale.
“Però potevi essere un po’ più delicato, in fondo non è una cattiva persona.”, disse mio nonno sforzandosi di guardarmi con uno sguardo di rimprovero.
“Non mi è stato simpatico sin dall’inizio, e non credo che abbia nulla da insegnarmi. Però in effetti credo di aver esagerato. Credi veramente che sia degno di essere il tuo successore?”
“Certo. E poi nessuno può insegnarti a navigare, ne io ne tanto meno il Maiale.”
“Allora perché mi hai portato da lui?”
“Per divertirsi, per andare oltre. Faceva parte del gioco. Devi solo imparare a lasciarti andare. Pensa a tutte le cose strambe che ti sei mai immaginato, sognato o che hai mai sentito raccontare. Chiudi gli occhi e incomincia a farti trascinare dolcemente dall’illusione. Credici veramente.”
Ora incominciavo a capire ogni cosa, tutto incominciava ad avere un senso. Chiusi gli occhi. Sentivo che cambiava qualcosa. La testa incominciò a girarmi. Un turbinio di immagini e colori si mescolavano e si susseguivano freneticamente, fino a fondersi in un unico scia cangiante. Riaprii gli occhi, e mi ritrovai su quella cima al posto di mio nonno, a farne le veci, a richiamare le forze misteriose e occulte, a scrutare l’orizzonte e ad ascoltare il respiro sotto l’isola. In quella notte, per un instante lui scomparve e io presi il suo posto.
Bene, dissi tra me, il viaggio comincia. Guardai lontano, c’era la tempesta. Gli andrò in contro. E so dove mi porterà, verso il vecchio continente.